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Abbiamo fatto una chiacchierata con Murubutu a Recanati

Venerdì 19 luglio abbiamo fatto una chiacchierata con Alessio Mariani, meglio conosciuto come Murubutu, nella suggestiva cornice culturale di Recanati (MC). Abbiamo trattato di lui recentemente pubblicando la recensione del suo ultimo album nonché terzo concept album della sua discografia, Tenebra è la Notte, che sta portando in giro in tutta Italia, assieme ai suoi fedelissimi compagni di battaglia U.G.O. e DJ T-Robb, oltre ai sporadici ospiti sul palco (a Milano c’era la formazione originale di Occhiali da Luna, ovvero Murubutu, Dutch Nazari e Willie Peyote, a Firenze Kiave che ha donato una super strofa al medesimo brano, a  Gattatico (RE) Dia), mentre a Recanati abbiamo avuto l’onore di ascoltare l’intervento di Tmhh, classe ’92 e, come Alessio membro della scuderia Glory Hole, sempre sulla base di Occhiali da Luna). Abbiamo parlato dell’evoluzione artistica di Alessio: da membro di una posse a cantastorie, della sua vita da professore, delle sue influenze in fatto di scrittura, con una minuscola incursione sulla sua vita privata.

G: Intanto bentornato nelle Marche! Dico “bentornato” perché non sei nuovo da queste parti; i tuoi brani in effetti portano la firma di questa regione, sia in fatto di produzioni (Swelto di Senigallia, DJ West di San Benedetto del Tronto, Xxx-Fila di Pesaro), sia in fatto di collaborazioni (Claver Gold di San Benedetto del Tronto). Che rapporto hai con le Marche?

A: Esatto! Diciamo che è un rapporto quasi familiare perché mia sorella ha sposato un marchigiano. Di recente, abbiamo festeggiato sempre nelle Marche il matrimonio quindi il rapporto con questa regione è diventato ancora più stretto, già mi piaceva molto anche prima visto che ho degli amici qui.

G: All’inizio della tua carriera ti esibivi con La Kattiveria, come sei arrivato ad essere Murubutu? E soprattutto come si è evoluto il tuo percorso di artista? Perché, se non ricordo male, in A pugno chiuso c’è la presenza di un francesismo, passami il termine.

A: [ride] Beh sai ho cominciato, diciamo, negli anni ’90 e quindi da adolescente ho subìto tutto il fascino che avevano i movimenti delle posse con il loro spirito di aggregazione e soprattutto con il loro repertorio identificazionale e quindi io, da giovane, mi sono gasato tantissimo e ho fatto del rap militante, come era diffuso in quel periodo, e mi sono lasciato andare anche a dei francesismi come li chiami tu, poi col passare del tempo ho cercato di affinare la mia proposta musicale, dapprima con La Kattiveria attraverso il rap didattico, poi attraverso la mia esperienza da solista nella formula del “rap narrativo”, che è quello dello storytelling; che risente da una parte della tradizione cantautorale italiana e dall’altra degli ascolti del rap d’oltreoceano.

G: Dato che siamo a Recanati, città natale di Leopardi, mi verrebbe da chiederti: è una coincidenza? Ma, soprattutto, parlami delle tue influenze in fatto di scrittura.

A: Le mie influenze sono abbastanza note: sicuramente nella mia scrittura prediligo i scrittori russi, i naturalisti francesi, ma anche sudamericani, mi piace fare anche qualche incursione sull’Italia; sono un grande lettore dell’Ottocento però leggo spesso i Premi Strega, e comunque le pubblicazioni italiane, perché mi piace tenermi aggiornato. Non sono un grande lettore di Leopardi, devo ammettere, decisamente più di Verga.

G: Immagino che allora Leopardi lo insegni a scuola.

A: Ma in realtà no, eccetto le Operette morali, non me ne posso occupare più di tanto perché sono professore di storia e filosofia e le suddette comunque non sono obbligatorie, bensì a discrezione del docente.

G: Passiamo ad altro: come scegli le collaborazioni? Hai un criterio ben preciso e/o determinati artisti devono soddisfare determinati requisiti richiesti?

A: Finora le collaborazioni sono nate tra me ed artisti a me affini dal punto di vista della scrittura; penso di aver radunato, negli ultimi due album soprattutto, le scritture più alte e le penne più eccellenti all’interno della scena rap. Tutte persone riconducibili, in qualche modo, a quello che può essere definito conscious rap anche se con curvature molto differenti.

G: Uno degli esponenti di questo sottogenere è sicuramente Mezzosangue: in L’Uomo senza Sonno ha cacciato una super strofa, anche se onestamente non vi trovo poi così tanto simili perché lui è un po’ più, diciamo, tagliente rispetto al tuo stile. Con Claver Gold invece hai collaborato anche altre volte, ma con Le Notti Bianche vi siete proprio superati.

A: Più che essere simili tra di noi, siamo diversi dagli altri. Comunque ti ringrazio moltissimo!

G: La mia non voleva assolutamente essere una critica, anzi, hai donato delle sfumature differenti all’album proprio grazie alla varietà di stili e voci che hai proposto, lo hai sicuramente reso più eterogeneo. Un altro esempio di sfumature di questo album sono gli argomenti che hai trattato: l’amore, la natura, l’ispirazione artistica, la musica, la guerra, che alla fine comunque vengono ricollegati al tema principale ovvero la notte. Personalmente ho apprezzato moltissimo Buio: il riferimento a Mario Rigoni Stern, il tuo flow e gli scratch di DJ T-Robb rendono il brano oltremodo pazzesco.

A: Non è il brano che riceve solitamente dei complimenti ma mi fa davvero piacere: Rigoni Stern è il mio scrittore preferito, ho letto tutti i suoi libri, inoltre Zefiro – nel caso ne avessi colto il riferimento – è ispirato, per l’appunto, ad una storia di Rigoni Stern.

G: Sì, è vero! Allora, mi rendo conto che sto per farti una domanda un po’ scomoda perché è come se ti chiedessi: “Quale dei tuoi figli preferisci? Figlio 1 o figlio 2?”, ma qual è l’album a cui ti sei più affezionato?

A: [ride] Ma no, dai! Quello a cui sono più affezionato forse è La bellissima Giulietta e il suo povero padre grafomane perché, rispetto ai precedenti album, lì esce in modo nudo e crudo la mia vena cantautorale e soprattutto di narratore sistematico. E’ un album pieno di effetti, nel senso che c’è un rap molto grezzo in alcuni aspetti; non c’è nessun arrangiamento, è proprio narrazione pura ma è proprio per questo che mi piace.

G: Sei consapevole del fatto che tu ti sia guadagnato la fama dello “storyteller strappalacrime”? Io direi che, a questo punto, sia anche ora di collaborare anche con dei brand di fazzoletti. Ci faresti i cosiddetti «big money», sai?

A: [ride] Hai ragione, però è anche vero che già ci sono così tante persone che fanno musica superficiale che tratta di amore in modo banale e “andiamo al mare” o cose del genere e dunque io propongo, nel mio piccolo, una prospettiva diversa che, se vogliamo, può essere a volte drammatica e ridondante ma nel contempo unica.

G: Come ad esempio in Ancora Buonanotte: durante il brano apprendiamo la dipartita della mamma di Matteo ma allo stesso tempo riusciamo a vedere in quest’ultimo, quando suona, la più alta sublimazione del legame indissolubile tra madre e figlio. Un amore che va oltre la morte.

A: Esattamente.

G: Questa volta, oltre a Dia (con la quale hai collaborato anche in Storia di Laura e Dafne sa contare), hai collaborato con un’altra voce che è un po’ fuori dallo schema conscious rap e cioè quella di Daniela Galli, vocalist di Benny Benassi, ma ho letto con dispiacere in una recensione di Tenebra è la Notte che le voci di queste donne, insieme a quella di Dutch Nazari, non siano ritenute all’altezza del tuo ultimo album. Vorresti dire qualcosa a riguardo?

A: Ognuno esprime la propria opinione, ciò nonostante non mi trovo d’accordo con quanto detto: ritengo che questi interventi melodici, invece, lo impreziosiscano voglio dire… Già come album è piuttosto cupo, con le loro voci sono riuscito ad alleggerire un po’ l’atmosfera e a rendere i brani più fruibili.

G: Come professore, invece, che rapporto hai con i tuoi studenti? Come lo prendono il fatto che, oltre a fare l’insegnante, fai musica?

A: [ride] non vale, avevi promesso che avresti fatto domande che non mi hanno fatto altri.

G: …eh dai, concedimela.

A: [ride] ho un rapporto molto normale, nel senso che sono un insegnante molto tradizionale, rigoroso, insomma come qualunque altro insegnante, poi è chiaro che il mio sforzo di essere comprensivo ed aggiornato lo devo grazie al fatto che faccio musica. Poi gli studenti all’inizio sono entusiasti ed incuriositi da questo fatto, poi però passa qualche giorno e tutto rientra nella normalità perché comunque devo interrogare, chiedere le giustificazioni, insomma comportarmi da pubblico ufficiale, fondamentalmente, perché è questa la mia posizione e quindi questa aura di sacralità svanisce.

G: Hai pubblicato al momento tre album concettuali che trattano di tre elementi naturali differenti come il mare negli Ammutinati del Bouncin’, il vento in L’uomo che viaggiava nel vento e il buio in Tenebra è la Notte. In qualche modo possono essere connessi al fatto che tu ti sia scelto un nome d’arte di questo tipo, ovvero quello di un santone che, con l’aiuto di talismani, essenzialmente cerca di riportare l’equilibrio nella propria tribù di riferimento?

A: Sì, i talismani sono dei medium per raggiungere un obiettivo e diciamo che sì, sono dei comuni denominatori che sembrano avere una centralità in quella che è la narrazione, ma in realtà non sono altro che gli espedienti per raggiungere un obiettivo, che fondamentalmente è parlare e curare la sofferenza; infatti il marabutto, nell’Africa sub-sahariana, non è solo una figura sciamanica ma è anche una figura che ha il ruolo, lo scopo, di ristabilire la salute e di utilizzare le parole con un fine terapeutico.

G: Caspita, abbiamo sforato di ben dieci minuti il limite imposto da Amedeo [il tour manager]; dai, concludiamo qui altrimenti mi fa a pezzettini [risata generale]. Grazie infinite per la disponibilità e buona fortuna per il concerto.

Un ringraziamento speciale a Sfera Cubica.

PolyJAMorous photographer, mostly in love with emo/metal/pop punk music, since 90s.