Noyz Narcos non se n’è mai andato, e il live all’Alcatraz di Milano ne è l’ennesima dimostrazione.
Dalle “cantine lerce” di periferia al palco dell’Alcatraz: è la notte consacrazione di Noyz Narcos, l’uomo che ha importato il gangsta rap nel Bel Paese con uno stile estremamente crudo e personale, verista, che affronta temi forti come la tossicodipendenza senza filtri, in modo da esprimere il malessere interiore nella maniera più efficace. Nel compiere questa operazione si inserisce in quel filone narrativo che vede la città di Roma come protagonista, a cui Caligari ha dato inizio negli anni ’80 con Amore tossico.
Quella del 25 novembre è una data dedicata alla presentazione di ENEMY, il suo ultimo album (nonché il suo primo disco di platino), ma che non lascia delusi nemmeno i fan della prima ora grazie a brani come M3, Drag you to hell e l’antologica Verano Zombie pt.2.
Noyz rivendica la sua natura di nemico pubblico dal giorno 1, con un disco maturo, tetro, conclusivo, che riesce a mettere d’accordo tutti e che allo stesso tempo richiama con nostalgia i tempi del Truceklan.
Dopo un clamoroso warm up di Night Skinny, il Narcos sale insieme ad alcuni ospiti su di un palco infuocato tra inquietanti proiezioni video e giochi pirotecnici. Buone le prestazioni di Luché ed Achille Lauro, mentre Rkomi dimostra di avere poca esperienza e aria nei polmoni.
Salmo viene accolto da un boato, merito in parte della sua grande presenza scenica, in parte perché simile a Noyz sotto molti aspetti: due villain che spiccano all’interno di una scena fin troppo poco diversificata e che provengono da un background simile, quello del metal, di cui il Narcos riprende l’iconografia. La copertina dell’ultimo album è infatti una chiara citazione agli Slayer, che meno di due anni fa hanno calcato quello stesso palco.
A differenza di Salmo, che ha optato per un radicale cambio di direzione, Noyz ha compiuto l’impresa di portare l’underground nel mainstream, facendo amalgamare le nuove tendenze dell’hip hop nostrano con il suo rap truce, senza snaturarlo; nonostante tutto non si adatta, rimane sempre coerente, ma mai uguale a sé stesso.
Chiunque si sia trovato al concerto di ieri può testimoniare che il pubblico si è ampliato e, inevitabilmente, l’età media si è abbassata (vi sareste mai immaginati dei genitori ansiosi che aspettano i figli fuori da un concerto del genere?), ma non mi fraintendete: la musica ha sempre bisogno di nuove leve affinché non muoia.
Alle spalle del rapper romano c’è una squadra di tutto rispetto che, grazie al fedelissimo dj Gengis Khan, alla regia e agli organizzatori, ha reso possibile uno spettacolo sonoro e visivo degno dell’Alcatraz, locale perfettamente attrezzato per queste evenienze. L’hip hop ha ormai un’importanza decisiva nel panorama musicale e sempre più artisti stanno cercando di arricchire l’esperienza live con effetti spettacolari. Uno di questi è Emanuele, che rimane un outsider, sia a livello italiano, sia, soprattutto, a livello della sua nuova città, Milano. Tuttavia l’influenza di Milano è evidente nella sua attitudine, sempre più orientata all’autocelebrazione.
Ma come dargli torto? E’ doveroso riconoscere il valore di questo artista che ha fatto ben più di scalare le classifiche: ha dato vita ad un immaginario.
– Articolo di Andrea Pomarico