La caldissima rassegna musicale, nata dalle cenere dell’Independent Days Festival, si sta affermando sempre di più nel panorama live nostrano, con nomi di sempre più grande caratura.
Dopo il successo (non senza polemiche) della scorsa edizione, che ha visto tra gli altri l’ultima esibizione italiana dei Linkin Park, la location si sposta dal labirintico e verdeggiante parco di Monza alla più asfaltata e moderna Area Expo di Milano. Per la prima volta vengono adibiti due palchi in occasione dell’edizione 2018 dell’iDays all’interno dell’area che ha ospitato l’esposizione universale nel 2015.
Ancora una volta i nomi sono di altissimo livello. A darsi il cambio sui due palchi del festival, infatti, sono stati The Killers, Pearl Jam, Placebo, Offrsprings, Queens of the Stone Age e gli immancabili fratelli Gallagher (opportunamente separati in due giornate diverse).
IL FESTIVAL – NUOVA LOCATION, MIGLIOR ORGANIZZAZIONE
Il Decumano dell’Area Expo si trasforma in una vera e proprio festival, con tanto di stand e bancarelle di merchandise, il tutto facilmente accessibile coi mezzi pubblici. Niente più camminate interminabili per raggiungere l’area concerti o imbottigliamento da centro città, anche se la cornice del parco di Monza vinceva sicuramente in quanto a fascino.
Se nella scorsa edizione, però, le lamentele si concentravano principalmente sulla scarsa disponibilità di viveri e, soprattutto, dell’acqua, qui i problemi sembrano molti meno e l’organizzazione molto più professionale e orientata verso i principali festival Europei. Certo, i prezzi sono ancora proibitivi e gli orari ancora troppo limitanti, ma sicuramente l’iDays rimane fra le migliori realtà live del nostro paese.
LE BAND
GIORNO 2
Ho avuto modo di assistere a due giornate di questo iDays: la seconda, quella dei Pearl Jam e la quarta, quella dell’accoppiata Offsprings + Queens of the Stone Age. Il mio esordio, quindi, avviene nel main stage del festival che si erge in fondo all’immenso pratone posto non molto lontano dall’Albero della Vita.
Il clima è rovente, ma decido comunque di raggiungere l’Area Pit alle 16 per non essere troppo lontano dal palco. Arrivo in tempo per lo show dei The Last Internationale. Sul palco si susseguono alcune band che faticano a reggere il confronto con gli Headliner ma che riescono lo stesso a strappare gli applausi di un pubblico esigente e difficile come quello dei Pearl Jam. Catfish & The Bottlemen prima e Stereophonics concedono un ottimo antipasto prima dell’attesissimo show dei Pearl Jam.
La band di Seattle manca in Italia da 4 anni, l’ultimo show nella capitale Lombarda fu a San Siro in occasione del tour di supporto a “Lightning Bolt”, tutt’oggi l’ultima fatica dei PJ. Se a questo giro non c’è alcun album da presentare, a tenere sulle spine i fan è sicuramente la precaria condizione della voce di Eddie Vedder, che ha costretto la band a cancellare i precedenti show londinesi. Il Vedder nazionale, infatti, ha dovuto disertare i precedenti concerti perchè impossibilitato a cantare.
Lo show di Milano dell’iDays è quindi il primo dopo il recupero di Eddie e tra le fila di pubblico si respira un certo scettiscimo e preoccupazione. Ed è subito lo stesso Vedder, munito del suo famoso foglio di carta con tanto di appunti, ad invocare aiuta ai fan nella nostra lingua.
Questa sera tutti saranno parte della band, tutti assieme canteremo i nostri brani preferiti assieme ad Eddie. Sulle note di Release, prima canzone suonata dai PJ sul suolo italico nella loro carriera, può quindi incominciare. Subito l’atmosfera si scalda (non che ne fosse il bisogno data la temperatura estiva milanese) e il pubblico è in visibilio. Segue la “ballad” Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town, prima di aumentare i BPM e scatenare il pogo con Do The Evolution.
I problemi alla voce di Eddie ci sono e sono evidenti. Vedder preferisce far cantare i ritornelli più impegnativi al pubblico, sacrificando la sua performance vocale in cambio di una tenuta di palco degna solo del frontman dei Peal Jam. Nonostante l’età, Vedder infatti non si concede un attimo di riposo correndo e saltando sul palco come un ventenne. La scaletta prosegue con altri cavalli da battaglia come Given To Fly, Wishilist, Even Flow, Corduroy.
Se Vedder deve trattenersi a causa della malattia, questo non vale per i suoi compagni di band, che si prendono letteralmente la scena lanciandosi in performance individuali per sopperire alla mancanza della voce più famosa del grunge. Mike McCready omaggia Eddie Van Halen eseguendo una cover di Eruption, mentre Gossard suona e canta la sua personalissima Mankind, unico brano della band scritto interamente dal chitarrista.
Anche Cameron e Ament si destreggiano in improvvisazioni e virtuosismi regalando al pubblico dell’iDays delle versioni “extended” dei propri classici. Porch e Footstep scatenano di nuovo il pubblico. Ma ecco che Eddie riprende in mano i propri appunti e, cercando di essere il più maccheronico possibile, ricorda ancora una volta di come, 18 anni fa, ha incontrato proprio a Milano la sua bella Jill (che per l’occasione sfoggia una giacca con la scritta “Yes, we all care, Y-don’t-U”, rivolta ovviamente a Trump). La coppia brinda quindi sul palco assieme agli oltre 60.000 presenti prima di tornare alla musica.
E quale brano migliore dopo un momento così romantico se non Black?
A chiudere l’esibizione il trittico Alive, Rockin’ in the Free World, celeberrima cover di Neil Young e Yellow Ledbetter. Finisce tutto un po’ troppo presto per i canoni della band, solamente 19 brani, ma rimane comunque un’esibizione che lascia il segno nei fan.
Anche un “mostro” sacro come Eddie Vedder si rivela umile ed umano, di fronte a ad una fastidiosa laringite, ma dimostra di essere comunque un rontman coi fiocchi, compensando la mancanza di voce con il suo carisma con la sua immensa, anche a 53 anni, voglia di incantare con la propria musica.
GIORNO 4
Dopo un giorno di riposo per le mie gambe è tempo di tornare all’iDays per la giornata conclusiva.
Questa volta il concerto si svolge all’interno dell’anfiteatro che funge da palco secondario. Se il pubblico è decisamente inferiore rispetto a venerdì, l’area pit è comunque gremita di gente che promette di reagalre anche a questa edizione un moshpit coicontrofiocchi. Il programma, infatti, vede gli scatenatissimi Offspring oltre che i Queens of the Stone Age.
Ad aprire le danze c’è però un gruppo interessantissimo, che richiama a raccolta i possessori del biglietto già verso le 18. Dopo l’interessante esibizio dei CRX, infatti, a salire sul palco sono i Wolf Alice, band londinese alternative rock capitanata dalla frontman Ellie Rowsell che ha riscosso un grandissimo successo oltre che l’approvazione di numerosissime star del rock internazionale, tra i quali, appunto, il leader dei QotsA Homme. La band riesce a mettere d’accordo sia i punkrocker giunti per gli Offspring, sia gli amanti dello Stoner in prima fila per Homme e soci. La voce cangiante e potente di Ellie ipnotizza il pubblico dell’iDays strappando consensi fra tutte le fila.
Ma è quando il cielo incomincia ad ingrigirsi che il festival entra nel vivo. Sulle note di Americana, Dexter, Noodles e soci si apprestano a salire sul palco e il pubblico è già in delirio.Basta infatti All I Want per scatenare il moshpit all’interno del pit, e già incominciano i primi surfer sulla folla.
Dopo il classico Come Out And Play, gli Offspring presentano anche in Italia l’inedito It Wont’ Get Better, pezzo che ha esordito lo scorso Giugno e che i fan sperano di ascoltare nella prossima fatica discografica della band (che ricordiamo manca dal 2012). Il brano richiama le sonorità dell’epoca Ixnay on the Hombre, cosa che fan ben sperare per l’ipotetico prossimo album.
Lo show prosegue con un’altra sfilza di classici come Original Prankster, Have You Ever e Staring at the Sun, confermando l’album Americana come quello più suonao dal vivo dalla band. La cosa che però stupisce di più e sicuramente l’ottima performance vocale del frontman Brian “Dexter” Holland, che a 53 anni suonati sembra comunque non sbagliare un acuto. Dopo Want You Bad, la band delizia il pubblico con una cover di Whole Lotta Rosie degli AC/DC. Ma se pensate che gli Offspring siano solo urla e casino, ecco un tecnico portare sul palco un pianoforte. Dexter siede sul seggiolino e inizia ad eseguire le note di Gone Away, qui riproposta in una commovente versione piano e voce.
Il pubblico non fa in tempo a riposarsi che la formazione al completo ritorna sul palco, con un’ulteriore carica di pezzi adrenalinici. Why Don’t You Get a Job? fa cantare tutto l’anfiteatro, mentre le successive (Can’t Get My) Head Around You, Pretty Fly (For a White Guy) e The Kids Aren’t Alright mettono a durissima prova la security che deve “raccogliere” decine e decine di fan impazziti.
Dexter saluta il suo pubblico e sembra che il concerto sia finito, ma è solo un encore prima del gran finale. Self Esteem, hit richiesta a gran voce dai fan, chiude definitivamente lo show della band, lasciando lividi, scarpe e qualche cellulare disperso.
Nonostante gli oltre 30 di carriera gli Offspring si confermano essere i “peter pan” del Punk Rock, gli eterni giovani che sembrano non invecchiare mai e che continuano a far pogare generazioni di giovani e non.
Al calar del sole è giunto il momento dei Queens of the Stone Age.
Il palco è già tappezzato dai tubi led che hanno accompagnato tutto il tour della band. Josh, Troy, Michael, Dean e Jon stanno mettendo piede sul palco dell’iDays per chiudere in bellezza questa edizione del festival. La band parte a mille con Go With The Flow ed è uno spettacolo di luci e di gente che si scatena. Lo show si preannuncia esplosivo, ed infatti il secondo pezzo in scaletta è Sick, Sick, Sick, tratto dall’ormai ultradecennale “Era Vulgaris”. Josh, come sempre a suo agio sul palco, si sofferma ad ammirare la bellezza del cielo Milanese con un “what a fuckin’ beautiful night!”, prima di incitare il pubblico a fare più casino.
La band rende subito onore all’ultimo disco uscito la scorsa estate, “Villains”, eseguendo la opener Feet Don’t Fail Me, seguita dal tormentone radiofonico The Way You Used to Do. La svolta “rock n roll” a là Elvis può non essere piaciuta ai fan di vecchia data, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Il pubblico salta e balla e quando accenna qualche momento di silenzio Josh subito riaccendendo gli animi dei fan (anche offrendo degli shots di un non ben definito alcolico alle prime file). E’ proprio l’ex chitarrista fondatore dei Kyuss, infatti, a tirare le redini dello show.Il coro di Burn The Witch rieccheggia nell’Area Expo, prima di tornare ai pezzi più recenti con la psichedelia di The Evil Has Landed.
Ma non c’è solo Josh Homme in questo concerto. A regalare emozioni ci pensa anche il batterista della band Jon Theodore, con un lunghissimo assolo nel mezzo di No One Knows che spinge gran parte del pubblico a tirare fuori lo smartphone per immortalare l’impressionante performance.
Lo show prosegue a ritmo spedito, concedendo un solo momento di pace e tranquillità con il flow decisamente più lento e sexy di Make It With Chu. L’unico difetto di questo show è sicuramente il poco tempo avuto a disposizione. Intorno alle 23:15, infatti, si esauriscono le ultime note di A Song for the Dead e la band lascia il posto agli addetti allo smontaggio del palco.
Una scaletta nettamente tagliata rispetto al concerto bolognese dello scorso anno e che lascia a bocca asciutti i fan di primissima data, ma una band che dimostra ancora una volta di saperci fare sul palco come pochi altri, e che sicuramente ha ancora molto da dire a tutti gli amanti del rock alternativo.
Si chiude così l’edizione 2018 dell’Idays, con molte meno polemiche rispetto all’anno scorso, e molti più sorrisi sui volti degli oltre 100.000 spettatori di questa 4 giorni memorabile.
Scritto da Matteo Marchetti