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Le colpe di Kanye

Venerdì scorso, primo giugno 2018, Kanye West ha deciso di donare al mondo il suo ultimo lavoro. Intitolato semplicemente Ye, giunge tra noi l’ottavo album studio del rapper di Chicago, che lo ha presentato in una maniera davvero inconsueta: il listening party infatti si è tenuto a Jackson Hole, in un ranch del Wyoming. In parole povere in mezzo al nulla. Però quando sei Kanye West è più che naturale che tutto il mondo voglia essere al tuo listening party, pure che questo sia a Jackson Hole, Wyoming.

L’album è molto importante per diversi aspetti: innanzitutto mette fine alle speculazioni riguardo i continui soggiorni di Kanye in Wyoming, non certo la località più glamour del mondo, confermando come lui appunto fosse tra i prati a fare nuova musica. Altra cosa fondamentale, con questo progetto Kanye rivela il proprio disturbo bipolare. Si giustifica così una volta per tutte la prematura fine del suo tour del 2016 che lo ha visto addirittura essere ricoverato. La notizia viene data da Kanye non nei sette brani che compongono il disco, bensì sulla copertina.

L’album, come detto prima, è molto breve. Appena sette tracce per 23 minuti di ascolto. E forse è meglio così, per il semplice fatto che i temi trattati sono decisamente pesanti e mostrano gli angoli più bui della mente dell’artista. Subito si entra nella mente di Yeezus, catapultati nel mondo di un uomo malato, con le sue emozioni che danno un senso di claustrofobia e quasi spaventano fin dalla primissima traccia. Il brano di apertura, I tought about killing you, parla subito di un Kanye che valuta ipotesi di suicidio e omicidio, e a questi temi si aggiungono quelli del bipolarismo in Yikes e poi quelli di odio, morte, autolesionismo, droghe e delusioni, che culminano con le perversioni sessuali dell’autore in All Mine.

Dopo questa doccia fredda data dai primi tre brani si chiude la porzione più oscura dell’album e dell’animo di Kanye. I pezzi che seguono, infatti, sono molto più luminosi e dedicati alla moglie Kim Kardashian e alle figlie North e Chicago, magari usando anche dei testi un po’ sempliciotti, ma che dimostrano come il boss della G.O.O.D. Music alla fine un cuore e degli affetti li ha davvero. In Wouldn’t Leave, Kanye ringrazia la compagna di essergli rimasta accanto, mentre in Violent Crimes, traccia di chiusura, Mr. West parla delle paure che lo attraversano da quando ha avuto due figlie femmine. Il brano in sé rischia quasi di cadere nel banale, ma fa vedere un volto dell’artista non sempre mostrato al pubblico. Se poi si vogliono cogliere i testi e i significati in maniera più profonda ci sono le analisi di Noisey e Genius, che fanno sempre un ottimo lavoro

Con questa contrapposizione tra brani che trattato temi pesanti e pezzi che invece sono molto più leggeri si intravedono gli opposti che popolano la mente dell’artista dovuta al suo disturbo bipolare. Solo che questo disturbo bipolare sembra quasi «sbagliato» o per meglio dire finto, per come viene descritto e affrontato.

Kanye West descrive questa condizione come qualcosa di positivo, quasi fosse un superpotere, a glorificare un problema che nella vita di tutti giorni, e soprattutto per le persone normali, è qualcosa di distruttivo. Esso è un alternarsi di euforia e depressione, che condanna gravemente la vita di chi ne soffre. Ecco, personalmente Kanye non sembra soffrire di tutto questo. O quantomeno non in una maniera debilitante come dovrebbe essere nella maggior parte dei casi. E in un’epoca dove nella musica temi come depressione, suicidio, tristezza e bipolarità sono tematiche messe su un piedistallo, ormai diventati di moda, l’utilizzo di questi come tema principale da parte di un genio della musica come Kanye dà quasi fastidio.

Egli è sempre stato qualcuno che ha creato i suoni, le musicalità, i temi che hanno plasmato la musica dopo di lui, e adesso invece sembra cavalcare l’onda, anche a voler giustificare tutti i fuoripista dell’artista negli ultimi mesi: la messa in fermo psichiatrico, il supporto verso Donald Trump, il suo esilio in Wyoming e infine le sue dichiarazioni per cui «la schiavitù è stata una scelta».

Con il suo ottavo album studio Kanye West apre la sua mente, producendo musica di qualità e mostrandoci tutto quello che è successo nella propria testa negli ultimi, difficili mesi. Ma questo disco ha due anime, proprio come il disturbo tanto decantato dall’artista: la prima è quello musicale, bella, con suoni e voci che accompagnano Kanye nel racconto in maniera magnifica. L’altra è quella del racconto della malattia, che invece fa quasi male, a rendere una problematica così debilitante come quella del disturbo bipolare qualcosa di banale. O peggio ancora, qualcosa di positivo.