Danny Glover rimette i panni di Childish Gambino e dopo quasi un anno e mezzo dall’uscita del suo ultimo album Awaken, My Love! tira fuori da sotto il tappeto quei problemi che l’America sembra voler continuare a ignorare.
Danny Glover non ne aveva bisogno. Non c’era necessità di tornare a fare musica. Dopo aver collezionato argenteria su argenteria sotto lo pseudonimo di Childish Gambino, aver recitato e prodotto una seria fantastica come Atlanta e aver ottenuto un ruolo in Star Wars l’agenda di Danny sembrava bella piena.
E invece no.
Come un fulmine a ciel sereno, torna ad essere Gambino e, con un video scioccante come è quello di This is America, Danny fa due cose molto importanti: uno, solleva dubbi. Dubbi sul perché si sia smesso di parlare del problema delle armi in America dopo gli ennesimi massacri degli ultimi mesi. Poi però da anche risposte, perché nel mare dei Lil Pump e Smokepurpp lui dimostra che il conscious rap esiste ancora, che gli artisti veri esistono ancora e non hanno bisogno di vomitare mixtape per rimanere sulla cresta dell’onda. Loro sono l’onda e basta un videoclip di 4 minuti per ricordarcelo.
Ed è proprio con i 4 minuti di This is America che Glover/Gambino riporta tutti con i piedi per terra. Il clip musicale è densissimo di significati e coglierli tutti è difficile ad un primo sguardo. Il lavoro fatto dal regista Hiro Murai, collaboratore insieme a Glover in Atlanta, è decisamente puntiglioso e apre ad una rosa di significati ampissima che hanno tutti in comune due soggetti: questa «malattia per le armi» che l’America ha e il tema della società afroamericana negli States, visto però in una chiave molto più critica rispetto ad altri artisti. Se spesso e volentieri il ragazzo nero americano viene descritto come qualcuno oppresso dal sistema, Gambino mostra una sfaccettatura tutta nuova. Forse la causa dell’oppressione è anche l’oppresso stesso.
Pochi secondi dentro al video infatti, sotto un ritmo molto allegro e felice, Gambino si trasforma da ballerino a carnefice, uccidendo con un colpo secco di pistola l’inerme chitarrista di fronte a lui. Diverse sono le cose che colpiscono. La prima è che a premere il grilletto non è il classico poliziotto bianco ciccione, ma Gambino stesso. Un nero che uccide un nero, forse a mostrare che la violenza non è esclusiva dei bianchi, ma appartiene a tutte le comunità d’America, quella black compresa. Secondo, il trattamento dell’arma e del corpo della vittima, con la pistola che viene subito custodita in un panno rosso quasi fosse una reliquia sacra. La povera vittima invece viene trascinata via, come un animale. Pochi secondi dopo Gambino torna a cantare e ballare con dei ragazzini, quasi non fosse successo nulla, citando temi classici del rap come la violenza della polizia, il diventare ricchi o il portare il giro armi nella «guerriglia cittadina» di una Chicago, Atlanta o New Orleans.
Segue quindi la secondo immagine fortissima. Un coro gospel che viene massacrato ancora una volta da Gambino, ancora una volta i corpi ammonticchiati sono abbandonati a sé stessi mentre l’arma del delitto è ben custodita. E di nuovo ricomincia la macabra danza di Bino e la sua crew di ballerini. Intorno a loro, nel frattempo, scoppia il caos: uomini corrono da tutte le parti, mentre Danny parla di vestiti di marca e i ragazzi che assistono a tutto ciò sono paralizzati, occhi bassi a guardare i propri telefoni. Anche qui i significati sono molteplici. L’uccisione dei membri del coro riprende i fatti del 2015 avvenuti a Charleston, nel quale diversi afroamericani sono stati uccisi da un suprematista. I ragazzi che invece sono completamente assuefatti dai propri cellulari rimanda a quell’idea che la nuova società dello smartphone stia piano piano rendendo, specialmente le nuove generazioni, sempre più immuni a fatti di cronaca del genere poiché troppo immersi nel loro mondo digitale.
A chiudere il brano una scena da brividi: Childish Gambino che scappa da qualcuno, nel buio, terrorizzato. La scena si rifà a quel piccolo capolavoro di Scappa – Get Out di Jordan Peele, nella quale il protagonista appunto scappa immerso nell’oscurità. Il tutto è condito dal coro finale di Young Thug, che descrive il Black man come un Big Dawg, termine che ha un doppio valore. Se da un lato può indicare un afroamericano ricco, che «ce l’ha fatta», dall’altro Thug riprende il significato letterale della parola dawg, cioè cane. Il ragazzo che ce l’ha fatta è uscito dalla propria condizione magari di miseria, è salito nella scala sociale, ma rimane comunque chiuso nella gabbia della società, proprio come un cane.
Altro aspetto da notare sono gli adlib (le «vocine» alla fine della strofa; un esempio sono gli SKRT di Sfera Ebbasta) che Gambino inserisce nella canzone. Sono quasi tutti di trapper di Atlanta. Young Thug, Quavo, e 21 Savage vengono tutti dalla grande città nel south degli States, proprio come Gambino, e ciò che li accomuna è aver fatto carriera sfruttando quei temi che Glover stesso denigra nel brano. La cultura del flex, il diventare ricchi, l’uso di armi hanno infatti permesso a questi tre artisti di salire alla ribalta.
Per concludere, Gambino è tornato. Tra un capolavoro cinematografico e l’altro sembra avere trovato anche il tempo ricordare all’America i suoi peccati originali, il che fa sorgere tante questioni, tra le quali una molto frivola: quando uscirà il prossimo album?