La scena jazz londinese è grande e grossa, ma avevate mica ascoltato qualcosa come i Ruby Rushton?
Come vi avevamo anticipato i Ruby Rushton sono passati da Milano per una delle due date italiane previste per questo inizio 2018. La band, capitanata da Tenderlonious, fondatore della 22a Records, ha superato le già alte aspettative presentando al pubblico del Biko un viaggio unico per la sua intensità.
Il set offerto ha ripercorso la discografia del trio, soffermandosi specialmente sui loro ultimi lavori, Trudy’s Songbook: Volume One” e “Trudi’s Songbook: Volume Two”, usciti a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro.
Del concerto vi possiamo raccontare che non appena iniziato il locale è diventato un paesaggio sonoro. L’atmosfera già molto rilassata del Biko non poteva che aiutare in questo. Le luci basse, delle persone sedute sui divani e altre in piedi davanti al palco invece, tutte trasportate dalla musica.
Quella dei Ruby Rushton è una musica dettagliata da diversi richiami musicali, intensificata dall’incontro tra diversi generi. Canzoni come “Tisbury Truckin’”, ad esempio, che sfociano improvvisamente in ritmi hip hop con la sovrapposizione di duri assoli. I passaggi up-tempo e i ritmi afro-beat che si incastrano tra una parte e l’altra rendono l’insieme un perfetto tutt’uno. La band sembra piena di brani pronti a sorprendere l’ascoltatore. Sin da subito arrivano degli assoli di batteria in canzoni come “Song for Christopher”, un’insolita ballad dal carattere ottimista.
Tutta la prima parte del concerto vede Tenderlonious al flauto, dal quale si allontana solo per accompagnare con una tastiera i soli di rhodes e batteria. Il sound è meditativo ed è allora un bene che la band non si fermi un attimo e ci proponga anche alcuni dei brani del lavoro precedente, “Trudy’s Songbook: Volume One”, che esprimono l’incontro di ascolti più classici come Sonny Rollins e Yusef Lateef con i ritmi urban di oggi.
Verso la fine abbiamo l’occasione di poter vedere Tenderlonious anche al sassofono in occasione della traccia intitolata “Charlotte Emma Victoria”, che lo vede prendere il volo con un bellissimo assolo. La batteria è rapida, pestata, ma il sassofono ci marcia sognante. Prima del solo di tastiere i suoni sembrano ricordare John Coltrane per poi trasformarsi in qualcosa che ricorda più le sonorità di Herbie Hancock.
Quello di sabato è stato sicuramente un altro live che ci ha permesso di capire lo spessore della realtà jazz londinese del momento, una realtà in continua evoluzione e di unione tra i generi e le generazioni.
I brani dei Ruby Rush portano l’ascoltatore in un viaggio di emozioni e ora possiamo dire di sapere perché “Trudi’s Songbook: Volume Two” sia stato candidato come Best Jazz Album of the Year ai Gilles Peterson’s Worldwide Awards. Possiamo confermare, senza ombra di dubbio, che i Ruby Rushton siano un pezzo importante del panorama jazz di oggi.