Abbiamo ormai capito che questo è senza dubbio l’anno dei grandi revival, e fra le tante band riapparse nelle scorse settimane i Grandaddy sono quelli che ho atteso con maggiore interesse. Esattamente undici anni dopo l’ultimo album Just Like The Fambly Cat, la band californiana ritorna proprio lì dove ci aveva lasciato un decennio fa, e nel bene o nel male il tempo sembra essersi fermato sia per noi che per loro.
In questi undici anni di pausa dalla band Jason Lytle non è certo rimasto con le mani in mano. Dopo essersi trasferito in una zona rurale del freddo Montana alla ricerca di un po’ di sana solitudine, ha pubblicato ben due album da solista (non eccessivamente brillanti) e iniziato a collaborare a diversi progetti, tra cui una produzione per i Band of Horses e la super band BNQT.
Last Place viene annunciato a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno con l’uscita dei tre singoli (Way we won’t, Evermore, A Lost Machine); fin da subito si intuisce la strada che la band di Modesto ha deciso di intraprendere, cioè la stessa di sempre.
L’album in questione resta infatti vicino al loro ultimo lavoro, ma riprende in particolar modo molte delle tematiche e delle ispirazioni da The Sophtware Slump, con il quale condivide il tema della tecnologia, della solitudine, o ancora quello dell’ angoscia per la perdita di un familiare come ascoltiamo in Jed the 4th, dove ritroviamo la figura di Jed, il simpatico androide con problemi di alcolismo, già visto in passato nei brani Jed the Humanoid e Jed’s Other Poem.
Anche la copertina è un richiamo a quella dell’album sopracitato, ennesima prova del forte legame tra Last Place e il suo predecessore più vecchio di diciassette anni.
Per quanto riguarda la parte strumentale, l’album strizza visibilmente l’occhio agli anni di maggiore attività della band, ovvero gli anni zero. E lo fa attraverso una quantità equilibrata di ballad e brani midtempo, tutto caratterizzato da un notevole utilizzo di fuzz, synth analogici e soluzioni melodiche che suonano come se stessimo vivendo dentro una space opera, come dimostra perfettamente il singolo A Lost Machine. Degni di nota anche That’s What You Get for Gettin’ Outta Bed e Check Injin, due brani profondamente diversi tra loro ma che possiamo considerare benissimo i marchi di fabbrica di Lytle e compagni.
Last Place non presenta eccessivi cambi di rotta dalla linea già avviata con gli album precedenti, e se devo essere sincero era un po’ quello che speravo. Senza dubbio è un paio di spanne superiore ai lavori da solista di Lytle e so bene che non si tratta di un capolavoro, ma dopo più di un decennio di silenzio non posso che considerarlo un gradito ritorno.